Saponi da bagno, li usiamo tutti i giorni ma c’è un rischio: ecco qual è

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Di certo i saponi liquidi sono meglio delle saponette, almeno per quel che riguarda l’igiene e la diffusione di batteri. Avvolgenti e super-soft, i saponi in mousse piacciono ai bambini e stanno prendendo piede anche in ospedali, case di cura, scuole, cinema e altri luoghi pubblici.

Ma secondo uno studio firmato da ricercatori americani e pubblicato sull”American Journal of Infection Control’ potrebbero essere meno efficaci dei saponi liquidi nell’eliminare batteri che possono causare infezioni. I ricercatori – in 3 differenti esperimenti e con 2 diverse marche di mousse – hanno scoperto che i saponi ‘schiumosi’ non antibatterici non sono efficaci come quelli liquidi nel ridurre la carica batterica sulle mani.

La ricerca è stata firmata da Nicolette Dixon, Margie Morgan e Ozlem Equils dell’University of California a Los Angeles e della Miora Educational Foundation di Encino. I ricercatori in diversi esperimenti hanno fatto lavare le mani a un piccolo gruppo di volontari (10 persone) con un sapone in mousse e uno liquido, che – secondo le indicazioni delle case produttrici – contenevano diverse concentrazioni di sodio laurilsolfato: 5-10% nelle mousse e 1-5% nei liquidi.

Ebbene, i saponi liquidi si sono rivelati più efficaci delle mousse, con una differenza nella riduzione della carica batterica giudicata statisticamente significativa dai ricercatori. “In questi studi pilota le mousse non sono state efficaci come i detergenti liquidi nell’eliminare la carica batterica, e questo può essere dovuto al fatto che un detergente deve essere massaggiato per produrre schiuma, mentre l’altro è già schiumoso quando esce dal dispenser”, ipotizzano gli autori.

Inoltre, “nel caso delle mousse il contenuto di un ‘puff’ di sapone è minore rispetto alla versione liquida. I nostri dati – concludono – mostrano che lavarsi le mani con saponi in mousse può dare una falsa sensazione di decontaminazione e, potenzialmente, favorire l’involontaria diffusione di germi resistenti. Questi studi – avvertono gli autori – andranno però ripetuti su un campione più vasto e in luoghi diversi, come ospedali, scuole e aeroporti”.

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